IL BOSCO NEL MITO E NELLA TRADIZIONE POPOLARE
Il termine foresta risale al latino forestis (silva), cioè “selva esterna“, posta “fuori“ dal pomerium, la cinta urbana che separava i centri abitati dalla natura circostante. E quel “fuori“ suggerisce l'idea dell'ignoto, del mistero in cui propriamente consiste il Sacro. E ancora la selva. In latino silva deriva da un più antico kselva, connesso al greco xylon = legno. E' un'altra indicazione significativa: il vocabolo era dai Greci riferito alle statuette degli antichi dei di epoca arcaica, realizzate con il legno, come del resto i templi più antichi. Dalla medesima radice indoeuropea discende il germanico sula = colonna = pilastro. E' l'idea dell'asse cosmico (axis mundi), ovunque rilevata dalla storia comparata delle religioni: l'albero, nelle culture tradizionali, collega il Cielo con la Terra. La stessa parola "Sacro" allude alla "forza", alla "potenza" naturale, una forza che attrae e respinge al contempo. La fenomenologia storico-religiosa ci aiuta a comprendere equazioni essenziali: Albero=Sacro=Vita.
Il bosco è un'epifania dell'Essere totale nella dimensione femminile del divenire. E' physis per antonomasia, per dirla come i Greci, ovvero - secondo Werner Jaeger - "processo generativo dell'Essere", reatività inesausta. Il bosco era dunque il regno della vita per alcune culture antiche, sede di un gran numero di epifanie divine: ninfe, satiri, fauni, dei. Ad esso era associato l'elemento equoreo: l'acqua nella forma privilegiata dei ruscelli, anch'essi simbolo di presenze divine, di spiriti della Natura. Non è un caso che venga attribuita al padre della filosofia occidentale - Talete - l'affermazione che “tutto è pieno di dèi = (panta plére theòn)”. Essa compendia magnificamente il pensiero del mondo antico, la cui religiosità aveva struttura naturalistica,carattere cosmico. E non si trattava di "politeismo", nel senso moderno della parola: per le classi colte le varie figure divine non erano altro che aspetti funzionali della Grande Madre, la natura perpetuamente generante. E il mondo vegetale è espressione della Madre, la natura che eternamente ricrea le sue forme. Gli dèi erano "epifanie dell'Essere", secondo la felice definizione di un fine filologo tedesco, Walter Otto. Al di sopra di essi vi era l'unico Dio senza nome, l'Assoluto informale. Questo il quadro e l'opportuna premessa.
Si capisce bene come la più antica riflessione letteraria sul bosco abbia ancora le sue radici nella dimensione sacrale. In Sicilia, regno esemplare a Troina della Grande Dea Madre (Le Meteres di Engjon) e dei suoi innumerevoli culti, il poeta siracusano Teocrito canta le selve con la sua tipica poesia bucolica: un mondo vivo, esaltante, i cui protagonisti sono le ninfe, gli spiriti boschivi. Non è un caso che i poeti romani - Lucrezio, Ovidio, Virgilio - parlino così diffusamente della Sicilia: non era invidia ma sincera ammirazione per la sua natura lussureggiante. Il paesaggio isolano del mondo antico pupilava di vita, a tutti i livelli, di spiriti degli elementi. I corsi d'acqua, così numerosi, erano divinizzati,perché si riteneva che uno “ spirito vitale “ presiedesse alla circolazione delle acque; i boschi erano animate da ninfe e numi pastorali. La Sicilia aveva visto l'epifania originaria della grande Madre, la dea Demetra (Terra Madre) e nell’ isola la figlia Kore (Proserpina) era stata rapita da Ade e trascinata per sei mesi negli inferi, fino alla resurrezione primaverile. Diodoro Siculo, lo storico di Agira, ci racconta nel V libro della sua “ Biblioteca “ le vicende mitiche di questa coppia divina a cui i Greci sopravvenuti diedero il nome, a loro familiare, di Demetra e Kore.
E' la variante, che si vuole più antica, del mito ellenico di Eleusi: la Grande Madre sarebbe apparsa in Sicilia prima che in Grecia, basti ricordare il tempio delle Dee Madri di Engjon (oggi Troina), oggetto di un culto immemorabile. E' in questo quadro mitico che, da epoche antichissime, i Sicani celebravano il mistero delle cerealicoltura, la nascita della spiga che si sarebbe trasformata in pane, naturalismo della Terra Madre (Dè Méter).
Un altro mito dell'alloro va ricordato e studiato, perché importante per la nostra indagine.
La connessione tra alloro e Apollo trova una giustificazione nel mito; pare infatti che le daphenephorie fossero state istituite a perenne memoria del viaggio di purificazione che Apollo aveva compiuto per ordine di Zeus da Delfi a Tempe, e di qui di nuovo a Delfi per espiare l'oltraggio compiuto ai danni del santuario della Terra Madre con l'uccisione di Pitone, che lì aveva cercato, invano, rifugio. A Tempe Apollo aveva raccolto del sacro alloro e se ne era coronato. Così adorno e con un ramo di alloro in mano, Apollo era ritornato a Delfi per prendere possesso del Santuario. In memoria di ciò i cittadini di Delfi inviavano a Tempe ogni nove anni una schiera di giovani nobili condotta da un Arcidafnèforo. Essi ripercorrendo lo stesso itinerario dal dio giungevano nel bosco d'allori di Tempe all'interno del quale, nel luogo stesso dove il dio si era coronato della sacra pianta, sorgeva un altare. Celebrati su di questo i dovuti sacrifici raccoglievano anch'essi l'alloro e con questo nelle mani e sul capo rientravano a Delfi. Le daphnephorie avevano certamente un carattere purificatorio. Queste cerimonie caratterizzavano il culto di Apollo. Consistevano in una processione di rami di alloro semplici o addobbati in varia maniera. Le processioni dei rami non sono caratteristica esclusiva del culto di Apollo, si ritrovano in Grecia in altri contesti cultuali.
Il mito di Dafne ed Apollo così narra: “Apollo, invaghitosi ad opera di Eros della figlia del fiume Peneo, cui apparteneva la valle di Tempe in Tessaglia, la bella ninfa Dafne (sacerdotessa della Terra Madre,Gea) cerca di conquistare l'amore della fanciulla.Questa lo sfugge. Un altro giovane ama Dafne, Leucippo (lo stallone bianco), ma Apollo ne provoca la morte. Acceso di desiderio Apollo la insegue e la sta per far sua quando lei disperata invoca la Madre Terra. Quest'ultima accorre e, presa la sua sacerdotessa,la trasporta nell'isola di Creta. In luogo della ninfa appare una pianta di alloro e Apollo infelice si consola con le sue fronde”.
Avevano una notevole importanza le feste dionisie legate al culto di Bacco o Dionisio, dio del vino e della vegetazione. Ad Atene venivano organizzate due volte l'anno e celebravano l'arrivo e la scomparsa del dio. Nel corso delle celebrazioni si svolgevano anche le Falloforie che evocavano la fecondità degli uomini e della vegetazione di cui Dionisio era ritenuto la fonte. Riferisce il mito che Apollo porta il "RAMO",dalla Valle di Tempe, in Tessaglia, lungo tutto il percosso fino a Delfi, per inaugurare i giochi Pitici, ma il culto di Apollo DAPHNEPHOROS è molto più diffuso. Foglie di alloro: << A te non spetta la corona superba della vittoria,ma la modesta ghirlanda della virtù >>.
L'albero è una teofania, o, se si preferisce, una ierofania (" manifestazione del sacro "), nella definizione datane da Mircea Eliade, il più grande storico delle religioni del '900. Può morire, ma rinnovarsi col crescere del fogliame, o - addirittura -essere sempre verde. E per questo viene assimilato al simbolo dell' "Albero della Vita".
Per chi non lo sapesse, tutta la simbologia che c'é dietro le due feste "RAMI" e "DDARATA" è complessa ed ha un sapore arcaico religioso tutto da scoprire e da vivere. Invito il prossimo anno tutte le autorità competenti a fare questa suggestiva esperienza. La processione ieratica che si svolge dentro il bosco Sacro dei Nebrodi dopo aver toccato l'alloro è unica nel suo genere e sacralità che ha bisogno di studiarla nei suoi minimi particolari e significati. Sembra che le Ninfe fluviali e Dafne echeggiano ancora con i loro canti bucolici per la foresta,proteggendo i pellegrini purificati lungo il cammino tortuoso. Il bosco ha bisogno dell'uomo, come l'uomo ha bisogno del bosco. E' una simbiosi che non si può scindere. Il taglio della legna rappresenta di per sé la rinascita della vita, e il bosco antropizzato non è altro che vita perenne e benessere per l'umanità. Consapevole di questi motivi forti, pregni di tanti significati e allegorie, non ci si può criminalizzare per aver fatto quello che i nostri avi hanno fatto nel corso della storia dell'uomo. Percorriamo inconsapevolmente i sentieri dei nostri Sicani, Siculi, Greci, Romani, Bizantini, Normanni ecc. che hanno costruito la civiltà della nostra gente.
Le due feste dei "Rami" e della "DDarata"non sono comuni a tutti i centri Nebrodensi.
Scrive ancora lo storico rumeno:<< Esso rappresenta - in modo sia rituale e concreto sia mitico e cosmologico, e anche puramente simbolico - il Cosmo vivente, che si rigenera senza interruzione >>.
Poiché la vita inesauribile è equivalente all'eternità, l'Albero-Cosmo può per questo diventare,su di un altro livello, albero della "Vita-senza-morte"... E' certo che per l'esperienza religiosa arcaica l'albero (o, piuttosto, certi alberi,) rappresenta una potenza. Per la mentalità arcaica, natura e simbolismoco esistono. In sostanza, se l'albero è carico di forze sacre, ciò avviene perché è verticale, cresce, perde le foglie e le recupera, e di conseguenza si rigenera: << muore >> e << risuscita >>, innumerevoli volte. Questa convalida ha origine dalla semplice contemplazione mistica dell'albero, in quanto "forma" e modalità biologica. Soltanto in seguito alla suas ubordinazione ad un prototipo (la cui forma non è necessariamente vegetale) l'albero sacro acquistala sua vera validità. In altre parole, questo avviene in virtù della sua potenza: perché manifesta una realtà extraumana, perché si presenta all'uomo in una certa forma, porta frutti e periodicamente si rigenera, per questo un albero diventa sacro. Con la sua semplice presenza ("la potenza") e con la propria legge dell'evoluzione ("la rigenerazione"), l'albero ripete quel che "è" il Cosmo tutto intero per l'esperienza arcaica. L'albero così può diventare simbolo dell'Universo, e sotto questa forma lo troviamo nelle civiltà evolute: ma per una coscienza religiosa arcaica l'albero è "l'Universo", e se "è" l'Universo, significa che ripete e riassume l'Universo, al tempo stesso che lo simboleggia... Ecco la potenza dell'albero sacro dell'alloro dei boschi Nebrodi! Potenza che rigenera chi lo cerca e lo trova! Può bastare così!
Altro fatto notevole,nella concezione degli antichi, si può ricordare che il " bosco sacro ", per la cultura romana, era detto nemus boschetto someggiato di lauri e circondato di verde.
Il saccheggio ecologico ebbe inizio con la dominazione romana: nel " granaio dell'impero " le selve furono sistematicamente abbattute e del loro legno prezioso si fecero navi da guerra, intese a distruggere e non a celebrare la vita naturale; le montagne furono sventrate alla ricerca di marmo e pietre idonei ad abbellire Roma, la superba capitale del mondo.
In pieno Medio Evo, la Sicilia appariva come un paradiso ai suoi visitatori: la cultura araba ha cantatole fresche sorgenti siciliane, la ricchezza floristica,gli splendidi giardini. La Corte normanna di Federico II manifestava opulenza e prestigio, l'ultima stagione del mito siciliano! Poi venne il tracollo!...
Il conte Ruggero donò i boschi Nebrodi a tutti i troinesi per i servigi prestati per la conquista della Sicilia. Qui pose la sua base e la sua residenza.
Una cosa è certa: nessuno mai impedirà la processione ieratica che si svolge all'interno del bosco sacro dei Nebrodi. Ci andarono i nostri avi, ci andiamo noi, ci andranno i nostri figli, continueremo nel tempo cosmico e universale. Le feste dei "RAMI" e della "DDARATA" non si toccano, se mai vanno regolamentate!
Siamo a completa disposizione di chiunque voglia raguagli sul significato e sulla simbologia delle processioni che si svolgono nell'area Nebrodense. E' la volta buona che il Sindaco del Comune di Troina, l'Azienda Silvo pastorale di Troina, le guardie forestali del circondario, il Presidente dell'Ente Parco dei Nebrodi, studiosi delle tradizioni popolari locali,Avvocati e parlamentari della nostra zona discutono in maniera sensata e costruttiva per non penalizzare e distruggere quello che i nostri Padri ci hanno lasciato e di cultura e di tradizioni. Esiste un contenzioso che dura dal 1892 sulla proprietà dei boschi di Troina. E' ora che si ridiscute! I troinesi tutti hanno ancora il diritto dell'uso civico. In maniera provocatoria, ho presentato e farò fare richiesta al Comune di Troina di legna e carbone. Un ultimo appello alle Istituzioni "INGNORANTI" che non conoscono la storia delle proprie radici: non è con la burocrazia e le multe che si risolvono i problemi. Vitalizziamo con iniziative i nostri boschi, amiamole foreste, che con i loro arcani silenzi ci parlano ancora! Come è potuto accadere che tanta prosperità nell'isola degenerasse in terra brulla, in siccità permanente? Gli antichi non esiterebbero nella risposta: gli dèi, offesi dall'uomo, si sono ritirati lontano nei cieli, parte della popolazione Nebrodense hanno dimenticato il padre Sole.
Chi mai potrà ricreare il mondo felice di un tempo che vide le ninfe danzare con satiri al suono melodioso di una musica sottile? Chi potrà riportare la vita? Sono un "Dafnephoreo", un portatore di rami di alloro, l'ho fatto e continuerò a farlo nel significato Universale del termine.
Basilio Arona, Giugno 1996